LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
30358-2010 proposto da: 
    Prudenzi    Enzo    PRDNZE47S18C117F,    Pellegrini     Antonella
PLLNNL62B60H501C, Cencioni Marco  CNCMRC63C03M082X,  Pellegrini  Anna
Rita PLLNRT56E63H501P,  Salvatori  Vittoria  SLVVTR55P51H501B,  Petti
Letizia  PTTLTZ48M04B691F,   Cangiano   Francesco   CNGFNC62H13M082E,
Mareschi Giancarlo  MRSGCR62T01F499U,  elettivamente  domiciliati  in
Roma, via A. Doria n.  48,  presso  lo  studio  dell'avvocato  Abbate
Ferdinando Emilio, che li rappresenta  e  difende  giusta  delega  in
atti; ricorrenti; 
    Contro Ministero della giustizia codice fiscale  n.  80184430587,
in persona del Ministro pro tempore, domiciliato  in  Roma,  via  Dei
Portoghesi n. 12, presso Avvocatura  Generale  dello  Stato,  che  lo
rappresenta e difende ope legis; controricorrente; 
    Avverso la sentenza n. 4140/2009 della Corte d'Appello  di  Roma,
depositata il 16 dicembre 2009 r.g.n. 3097/2007; 
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
5 novembre 2013 dal Consigliere dott. Enrica D'Antonio; 
    udito l'avvocato Abbate Ferdinando Emilio; 
    udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Marcello  Matera,  che  ha  concluso  per   rimessione   alla   Corte
Costituzionale in relazione all'art. 6 CEDU e art. 117 Cost. 
 
                              In fatto 
 
    Con sentenza depositata il 16 dicembre 2009 n. 4140/2009 la Corte
d'appello di  Roma,  in  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  di
Viterbo, ha accolto  le  opposizioni  proposte  dal  Ministero  della
giustizia avverso i decreti ingiuntivi emessi a  favore  di  Cangiano
Francesco  ed  altri,  tutti  dipendenti  dello   stesso   Ministero,
ritenendo infondata la pretesa di ottenere  il  compenso  ex  art.  5
della legge n.  260/1949,  relativo  a  festivita'  coincise  con  la
domenica. 
    La Corte territoriale ha infatti rilevato che la gravata sentenza
aveva accolto la domanda alla luce dell'art. 5,  terzo  comma,  della
legge n. 260/1949, come modificato dall'art. 1 della legge n. 90/1954
e  che,  tuttavia,  era  intervenuta  la  legge  n.  266/2005  (legge
finanziaria 2006) che, all'art.  1,  comma  224,  di  interpretazione
autentica, aveva elencato  il  citato  art.  5  tra  le  disposizioni
inapplicabili al pubblico impiego ai sensi dell'art. 69  del  decreto
legislativo  n.  165/2001,  una  volta  stipulati  i  CCNL   per   il
quadriennio 98/01. 
    Il giudice di merito ha quindi concluso che, a seguito  di  detto
intervento  legislativo,  passato  indenne  al  vaglio  della   Corte
Costituzionale (cfr. sent. n. 146/2008), l'inapplicabilita' dell'art.
5 legge n. 260/1949 ai  rapporti  di  lavoro  pubblico  -  una  volta
stipulati i contratti collettivi del quadriennio 1994/1997 o, al piu'
tardi, dal momento della sottoscrizione dei contratti collettivi  del
quadriennio 1998/2001 - comportava, inevitabilmente, il rigetto delle
domande dei lavoratori, stante la natura interpretativa della norma o
comunque il suo contenuto innovativo ma con efficacia retroattiva. 
    Ricorrono i lavoratori per la cassazione della sentenza.  Resiste
il Ministero con controricorso. 
 
                             In diritto 
 
    Con  il  primo  motivo  i  ricorrenti  lamentano  la   violazione
dell'art. 1, comma 224, legge 23 dicembre 2005 n.  266.  Essi  notano
come la  sentenza  impugnata  abbia  rigettato  le  loro  domande  in
applicazione del  comma  224  ora  cit.,  il  quale  per  i  pubblici
impiegati ha negato il compenso per le  festivita'  civili  nazionali
ricadenti di domenica. Osservano pero' che la  disposizione,  per  il
contenuto  letterale  della   sua   seconda   parte,   ha   efficacia
retroattiva, ossia va applicata  a  fattispecie  anteriori  alla  sua
entrata in vigore,  «salva  l'esecuzione  dei  giudicati»,  formatisi
appunto fino alla data della stessa entrata in vigore. Aggiungono che
questa  efficacia  retroattiva  non  e'   giustificata,   sul   piano
costituzionale,  da  una  finalita'  realmente  interpretativa  della
disposizione, la quale attribuisce alla  norma  interpretata  (l'art.
69, comma 1, secondo periodo, decreto legislativo 30  marzo  2001  n.
165) non gia' uno dei significati possibili bensi' un significato del
tutto nuovo. Che poi - aggiungono ancora  i  ricorrenti  -  la  Corte
costituzionale con la sentenza n. 146 del  2008  abbia  escluso  ogni
illegittima disparita'  di  trattamento  tra  dipendenti  pubblici  e
privati,  e'  circostanza   non   influente   sulla   giustificazione
costituzionale della detta retroattivita'. 
    Con  il  secondo  motivo  i  ricorrenti  sollevano  questione  di
legittimita' costituzionale del  comma  224  cit.  poiche'  la  detta
retroattivita'  violerebbe  il  divieto  di  ingerenza   del   potere
legislativo nell'amministrazione della giustizia,  ossia  influirebbe
sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso (art.  117,
comma 1, Cost. e 6 CEDU), lederebbe l'autonomia e indipendenza  della
magistratura (art. 104 Cost.) ed il principio di imparzialita'  della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). 
    La violazione dell'art. 6  CEDU  e  quindi  del  Trattato  UE  di
Lisbona  induce  i  ricorrenti  a  chiedere  in  via  subordinata  di
sottoporre alla Corte di Giustizia UE il  quesito  interpretativo  ai
sensi dell'art. 234 Trattato CEE. 
    Questo collegio ritiene non manifestamente infondata la questione
di cui al secondo motivo di ricorso,  avente  ad  oggetto  l'art.  1,
comma  224, legge  n.  266  del  2005.  Questione  consistente  nello
stabilire se l'efficacia che il citato comma 224 debba esplicare  sui
processi pendenti- come quello  attuale,  iniziato  con  ricorsi  per
decreto ingiuntivo depositati tra il 20 ottobre  ed  il  28  novembre
2005- violi  il  diritto  dei  lavoratori,  parti  private,  all'equo
processo, tutelato dall'art. 6 CEDU e indirettamente  dall'art.  117,
primo comma, Cost. 
    Quanto alla rilevanza, essa risulta evidente dalla necessita'  di
diretta applicazione della disposizione nella presente controversia. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  occorre   premettere
l'intero  contenuto  della   disposizione:   «Tra   le   disposizioni
riconosciute  inapplicabili  dall'articolo  69,  comma   1,   secondo
periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165,  a  seguito
della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997
e' ricompreso l'articolo 5, terzo comma, della legge 27 maggio  1949,
n. 260, come sostituito dall'articolo 1 della legge 31 marzo 1954, n.
90, in materia di  retribuzione  nelle  festivita'  civili  nazionali
ricadenti di domenica. E'  fatta  salva  l'esecuzione  dei  giudicati
formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge». 
    Il citato art. 69 recita a sua volta «Salvo che per le materie di
cui all'articolo 2, comma l, lettera c), della legge 23 ottobre 1992,
n. 421, gli accordi sindacali  recepiti  in  decreti  del  Presidente
della Repubblica in base alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e le  norme
generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla  data  del  13
gennaio  1994  e  non  abrogate,  costituiscono,  limitatamente  agli
istituti del rapporto di lavoro, la disciplina di cui all'articolo 2,
comma  2.  Tali  disposizioni  sono  inapplicabili  a  seguito  della
stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio  1994-1997,  in
relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi  contemplati.  Tali
disposizioni cessano in ogni caso di  produrre  effetti  dal  momento
della  sottoscrizione,  per  ciascun  ambito  di   riferimento,   dei
contratti collettivi del quadriennio 1998-2001». 
    L'espressa salvezza dell'esecuzione dei giudicati formatisi  alla
data di entrata in vigore della legge n. 266 del 2005, vale a dire la
sua necessaria applicazione ai processi ancora pendenti, esclude ogni
possibilita' di  negare  l'efficacia  retroattiva  della  norma,  per
tentare di adeguarla all'art. 6 CEDU, di cui poco avanti si dira'. 
    La cosiddetta  interpretazione  adeguatrice,  che  e'  necessario
sempre tentare prima  di  sollevare  una  questione  di  legittimita'
costituzionale, trova il suo limite  nel  significato  proprio  delle
parole della disposizione da interpretare, secondo la connessione  di
esse, nonche' nella chiara intenzione del legislatore (art. 12, primo
comma, preleggi). Del resto anche la giurisprudenza di  questa  Corte
afferma l'efficacia retroattiva del comma  224  in  questione  (Cass.
n.6736 del 2010, n. 14048 del 2009, n. 4667 del 2008). 
    Ancora, non rileva sulla presente  questione  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 146 del 2008,  che  nego'  il  contrasto  del
comma  224  con  il  principio  di  eguaglianza,  nella  specie   tra
lavoratori dipendenti pubblici e privati. 
    Che poi la questione debba  essere  risolta  sottoponendola  alla
Corte costituzionale risulta dalla giurisprudenza della stessa Corte. 
    A partire dalle sentenze n. 348 e n.  349  del  2007  (da  ultimo
sentenze n. 236, n. 113 e n. 1  del  2011),  tale  giurisprudenza  e'
costante nel ritenere che le norme della CEDU -  nel  significato  ad
esse  attribuito  dalla  Corte   europea   dei   diritti   dell'uomo,
specificamente istituita per darne  interpretazione  ed  applicazione
(art. 32,  par.  1,  della  Convenzione)  -  integrano,  quali  norme
interposte, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117 Cost.,
comma  1,  nella  parte  in  cui  impone   la   conformazione   della
legislazione   interna   ai   vincoli   derivanti   dagli    obblighi
internazionali. 
    La Corte costituzionale ha affermato  che  nel  caso  in  cui  si
profili un contrasto tra una norma interna e  una  norma  della  CEDU
(che deve essere applicata nel  significato  attribuito  dalla  Corte
EDU, cfr. citate sentenze n.  113  e  n.  1  del  2011),  il  giudice
nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilita' di
un'interpretazione della prima  conforme  alla  norma  convenzionale,
ricorrendo a tutti  i  normali  strumenti  di  ermeneutica  giuridica
(sentenze n. 93 del 2010, n. 113 del 2011, n. 311 e n. 239 del 2009).
Se questa verifica da' esito negativo e il contrasto non puo'  essere
risolto  in  via  interpretativa,  il  giudice  comune,  non  potendo
disapplicare la norma interna ne' farne applicazione, ritenendola  in
contrasto con la CEDU e pertanto con la Costituzione, deve denunciare
la rilevata incompatibilita'  proponendo  questione  di  legittimita'
costituzionale in riferimento all'art. 117  Cost.,  comma  1,  ovvero
all'art. 10 Cost., comma 1, ove si tratti di una norma  convenzionale
ricognitiva di una  norma  del  diritto  internazionale  generalmente
riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n.  311  del
2009). 
    Sempre il Giudice delle leggi  ha  affermato  che,  sollevata  la
questione di legittimita' costituzionale, il Giudice  comune  -  dopo
aver accertato che il denunciato contrasto tra norma interna e  norma
della CEDU sussiste e non puo' essere risolto in via interpretativa -
e' chiamato a verificare se la norma della Convenzione - norma che si
colloca pur sempre  ad  un  livello  sub-costituzionale  -  si  ponga
eventualmente in conflitto con altre  norme  della  Costituzione.  In
questa, seppure eccezionale, ipotesi, deve essere esclusa l'idoneita'
della norma convenzionale a  integrare  il  parametro  costituzionale
considerato (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del  2010,  n.  311  del
2009, n. 349 e n. 348 del 2007).  Piu'  precisamente,  secondo  Corte
cost. n 264 del 2012 la verifica del contrasto fra  norma  interna  e
norma CEDU non puo' portare ad una violazione di norme costituzionali
interne, con la conseguenza che la norma CEDU,  nel  momento  in  cui
integra il primo comma dell'art. 117  Cost.  come  norma  interposta,
deve formare oggetto  di  bilanciamento  secondo  le  valutazioni  di
costituzionalita' svolte  ordinariamente  dalla  stessa  Corte  (vedi
anche sent. n 317 del 2009). 
    Cio' induce a prospettare la possibilita' di un bilanciamento tra
il sacrificio economico imposto al lavoratore,  anche  con  efficacia
retroattiva ossia  anche  con  lesione  della  posizione  processuale
(sacrificio economico modesto ossia non contrastante con la  garanzia
posta dall'art. 36, primo comma, Cost.), e necessita'  di  equilibrio
del bilancio dello Stato, da  assicurare  tenendo  conto  della  fase
avversa del ciclo economico (art. 81, primo comma, Cost.). 
    Tale questione di bilanciamento appare tuttavia di dubbio  esito,
giacche'  non  risulta  a  questa  Corte  di   legittimita'   neppure
approssimativamente la complessiva spesa necessaria a soddisfare quei
crediti dei pubblici impiegati. Ulteriore  ragione  per  chiedere  il
giudizio della Corte costituzionale. Circa il contrasto tra il  comma
224 cit. e l'art. 6 CEDU, dall'esame delle sentenza CEDU  relative  a
norme di  interpretazione  autentica  possono  desumersi  i  seguenti
principi: 
        a) benche' non  sia  precluso  al  legislatore  disciplinare,
mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti  da  leggi
in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione  di
processo equo  contenuti  nell'art.  6  precludono,  tranne  che  per
impellenti  motivi  di  interesse  generale,  i  quali  non   possono
consistere  in  mere   esigenze   finanziarie,   l'interferenza   del
legislatore nell'amministrazione della giustizia con il proposito  di
influenzare  la  determinazione  giudiziaria  di   una   controversia
azionata contro lo Stato. (causa Maggio ed altri  c.  Italia  del  31
maggio 2011; causa Anna De Rosa ed altri c. Italia  dell'11  dicembre
2012; causa Agrati ed altri c. Italia del 7 giugno  2011,  le  ultime
due  relative  al  personale  ATA;  cfr,  inoltre,  tra  molti  altri
precedenti, Stran Greek Refineries e Stratis Andreadis c.  Grecia,  9
dicembre  1994,  National  &  Provincial  Building   Society,   Leeds
Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c.  il  Regno
Unito, 23 ottobre 1997, Zielinski e Pradal  e  Gonzalez  e  Altri  c.
Francia ); 
        b) la Corte affermo', ancora, con riferimento alla  legge  di
interpretazione  n.  296/2006  nella  causa  Maggio  citata,  che  la
promulgazione di detta legge, mentre i procedimenti  erano  pendenti,
in realta' era ricaduta sul  merito  delle  controversie,  e  la  sua
applicazione da parte dei vari Tribunali ordinari  aveva  privato  di
rilievo, per un'intera categoria di persone che  si  trovavano  nella
posizione dei ricorrenti, la prosecuzione del giudizio.  Percio',  la
legge aveva avuto l'effetto di modificare definitivamente l'esito del
giudizio pendente, nel  quale  lo  Stato  era  parte,  approvando  la
posizione dello Stato a svantaggio dei ricorrenti. Mancavano peraltro
i suddetti motivi imperativi di interesse generale; 
        c) Conclusioni analoghe sono state assunte nella causa citata
relativa al personale ATA in cui la Corte di  Strasburgo,  dopo  aver
ribadito il principio piu'  volte  affermato  che,  se  in  linea  di
principio nulla vieta al potere legislativo di regolamentare mediante
nuove disposizioni, a carattere retroattivo,  diritti  risultanti  da
leggi in vigore, la preminenza del diritto e la nozione  di  processo
equo sanciti dall'art.  6  CEDU  ostano,  salvo  che  per  imperative
ragioni di interesse generale, all'ingerenza del  potere  legislativo
nell'amministrazione della giustizia al fine di  influenzare  l'esito
giudiziario di una controversia. La Corte ha rammentato, inoltre, che
l'esigenza della parita' delle armi implica l'obbligo  di  offrire  a
ciascuna parte una ragionevole possibilita' di presentare la  propria
causa senza trovarsi in una situazione di netto  svantaggio  rispetto
alla controparte. Analoghi principi sono stati  affermati,  altresi',
nella sentenza del 25  novembre  2010,  Lilly  c.  Francia,  e  nella
sentenza dell'11 febbraio 2010, Javaugue c. Francia; 
        d)  al  fine  di  determinare  se  vi  sia  stato  un  motivo
impellente di  interesse  generale  in  grado  di  giustificare  tale
misura, il rispetto della preminenza del diritto e delle  regole  del
processo equo, secondo la Corte di Strasburgo, impone che le  ragioni
addotte per giustificare tale misura siano valutate  con  il  massimo
grado di cautela possibile. Considerazioni di  carattere  finanziario
non possono da sole giustificare che il legislatore si sostituisca al
giudice al fine di risolvere le controversie (causa Maggio  ed  altri
citata); 
        e) la  Corte  ha  osservato  (causa  Arras  citata)  che  «Il
problema sollevato nel caso di specie e' fondamentalmente quello  del
giusto  processo,  e,   secondo   la   Corte,   cio'   coinvolge   la
responsabilita' dello Stato sia nella sua  funzione  legislativa,  se
vizia il processo o influenza l'esito giudiziario della controversia,
sia nella sua funzione di autorita'  giudiziaria  se  e'  violato  il
diritto a un giusto  processo,  compreso  in  questioni  private  tra
soggetti privati». 
    Nella  gia'  citata  pronuncia  n.  264   del   2012   la   Corte
costituzionale ha rilevato che  l'impostazione  della  giurisprudenza
ECU risulta sostanzialmente  coincidente  con  i  principi  enunciati
dalla stessa Corte con riguardo al divieto  di  retroattivita'  della
legge,  che,  pur  costituendo  valore   fondamentale   di   civilta'
giuridica, non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di  cui
all'art. 25 Cost. (sentenze n. 15 del 2012, n. 236 del 2011 e n.  393
del 2006). Il legislatore, nel  rispetto  di  tale  previsione,  puo'
emanare  -  come  rilevato  nelle  citate  sentenze  -   disposizioni
retroattive,  anche  di   interpretazione   autentica,   purche'   la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione  nella  esigenza  di
tutelare principi, diritti e  beni  di  rilievo  costituzionale,  che
costituiscono altrettanti «motivi imperativi di  interesse  generale»
ai  sensi  della  giurisprudenza  della  Corte  EDU.  La   richiamata
disposizione  convenzionale,  come  applicata  dalla  Corte  europea,
integra, quindi, pianamente il  parametro  dell'articolo  117,  primo
comma, della Costituzione. 
    Alla luce dei citati principi elaborati dalla giurisprudenza CEDU
in riferimento  all'interpretazione  dell'art.  6  della  Convenzione
citato ritiene in definitiva questo  collegio  che  si  prospetti  il
dubbio di legittimita' costituzionale della legge n. 266/2005 art. 1,
comma 224, non essendo possibile  adottare  un'interpretazione  della
disposizione citata conforme alla Convenzione. 
    La norma in questione e'  intervenuta  nel  corso  del  giudizio,
determinando  la  modifica  dell'esito  del  giudizio  favorevole  ai
ricorrenti secondo una giurisprudenza consolidata che riconosceva  ai
dipendenti pubblici il diritto ad un compenso aggiuntivo in  caso  di
coincidenza della festivita' con la domenica. 
    Le  argomentazioni  svolte  dal  Ministero  non  sembrano   poter
rappresentare gli «impellenti motivi di interesse  generale»  di  cui
sopra. L'applicazione della legge in questione si traduce nel privare
i ricorrenti di un emolumento che essi avrebbero potuto pretendere  e
si riverbera sull'esito dei processi in corso. 
    Le  finalita'  indicate  dal  Ministero  secondo  cui  la   legge
retroattiva tende a «razionalizzare» o «omogeneizzare» il trattamento
del pubblico impiego costituiscono espressioni  del  tutto  generiche
mentre lo stesso Ministero non nega l'intento  di  sola  compressione
della spesa pubblica. 
    La  tesi,  sostenuta  da  una   parte   della   dottrina,   della
disapplicabilita', da parte del giudice comune, di norme contrastanti
non solo con l'art. 6 CEDU ma anche con gli artt. 47, secondo  comma,
e 52, terzo comma, della Carta dei diritti fondamentali  UE,  non  e'
generalmente condivisa e contrasta con le citate sentt. n. 348 e  349
del 2007 della Corte Cost. Essa non ha dato luogo a «diritto vivente»
onde a questo collegio sembra meglio procedere secondo le indicazioni
di queste due pronunce (vedi anche Corte giust. UE, 24 aprile 2012 n.
C 571/10 Kamberaj; 26 febbraio 2013 n. 617/10, Fransson).